Voci della seconda guerra mondiale

SALVATORE CORRIAS: UN FINANZIERE NEL GIARDINO DEI GIUSTI

Salvatore Corrias

Anni ’30: un finanziere sardo, Salvatore Corrias, venne inviato ad Agra, dove era stato creato un distaccamento della Brigata di Dumenza, in località Bellavista, attualmente in territorio di Colmegna.
Un paesaggio molto diverso dal natio borgo di San Nicolò Gerrei, distante una cinquantina di chilometri da Cagliari.
Salvatore però visse questa esperienza con animo sereno, come risulta da una sua lettera scritta ad un collega: «Il distacco da un paese all’altro non mi ha fatto alcuna impressione [...].
Agra è un paese che conta circa un migliaio di abitanti, è situata su una collina la cui altezza non supera i 700 metri, prospiciente sul Lago Maggiore.
A breve distanza si scorgono, lungo la vallata, gli altri paesi della zona [...].
La gente è buona ed affabile; il paesaggio ha del pittoresco».
Salvatore Corrias aveva vissuto nel ventennio fascista, aveva giurato fedeltà al suo duce, lo aveva perfino definito «condottiero della nuova Italia, uomo fiero e d’azione, vero tipo di autentico romano».
Gli ultimi tempi trascor- si al fronte, lo sfacelo in cui versava il Paese, per metà sotto i vendicatori tedeschi, orientarono Salvatore verso una scelta drastica.
Quando il dubbio si insinua nella mente e scava in profondità come un tarlo, prima o poi si cambia idea.
Il 15 ottobre 1943, ad appena un mese dal suo arrivo ad Uggiate, dove era stato destinato, Salvatore decise di schierarsi con i partigiani, per resistere all’invasore tedesco che dall’8 settembre si era macchiato di numerosi crimini anche nei confronti della popolazione civile.
Aveva assunto il nome di battaglia di «Turi», ma non si era dato alla macchia.
Al movimento di Resistenza facevano certamente più comodo gli appoggi concreti di un apparato di polizia, come quello della ribattezzata Guardia Repubblicana di Finanza.
Ben presto Turi divenne uno dei principali responsabili dei viaggi della salvezza, come venivano definiti gli espatri clandestini in Svizzera, sia degli Ebrei, sia degli altri perseguitati politici.
Conosceva bene i sentieri d’alta montagna ed era quindi in grado di condurre quelle comitive di disperati in cerca della salvezza verso i valichi meno sorvegliati.
Poteva inoltre contare sulla collaborazione dei colleghi più fidati che si trovavano di volta in volta in servizio.
Si era reso perfettamente conto della sorte riservata agli Ebrei nei campi di sterminio, soprattutto dopo la famigerata introduzione anche in Italia, nel 1938, delle assurde leggi razziali.
Un’opera altamente umanitaria la sua, realizzata anche grazie all’ospitalità e la generosità di tanti contadini e montanari che rischiavano le punizioni più severe, persino la pena di morte, per l’assistenza prestata.
Destinato successivamente alla Brigata di Salvatore Corrias frontiera del Bugone, sopra Moltrasio, Salvatore poté meglio espletare la sua missione.

Salvatore Corrias

Il nuovo comandante della Brigata, Francesco Pisano, si mostrava però titubante ad entrare in quella che era stata battezzata la «banda dei benefattori».
Turi raccontò allora ciò che era accaduto alla stazione ferroviaria di Milano da dove era partito un treno carico di Ebrei destinati alla deportazione ad Auschwitz.
Gli Italiani non avrebbero dovuto tollerare una simile vergogna e men che meno i finanzieri.
Anche nelle circostanze più tragiche comunque, c’è sempre chi ne trae profitto.
Molti contrabbandieri, infatti, approfittando della drammaticità della situazione, si arricchivano soprattutto alle spalle degli Ebrei e di quanti cercavano di porsi in salvo, estorcendo soldi ai malcapitati.
Nel congresso del partito fascista repubblicano, celebratosi a Verona dal 14 al 16 novembre 1944, era stato ribadito che tutti gli appartenenti alla razza ebraica dovevano essere considerati stranieri e, come tali, nemici dello Stato.
Pertanto dovevano essere catturati se rintracciati nel territorio della Repubblica Sociale Italiana.
Salvatore e la piccola brigata del Bugone continuarono a favorire le fughe, sfruttando al meglio la configurazione geografica del monte Bisbino, un’area difficilmente controllabile dai nazifascisti, essendo ricca di camminamenti, trincee, postazioni d’artiglieria, costruite durante la prima guerra mondiale e delle quali i finanzieri custodivano gelosamente le mappe.
In alcuni casi gli Ebrei furono ospitati nella stessa caserma del Bugone dove talvolta condividevano il pasto con i finanzieri: un tozzo di pane e un bicchiere di latte di capra.
Nel settembre del ’43, i dodici finanzieri del Bugone, affidate le loro uniformi alla famiglia Peduzzi, si unirono definitivamente agli altri partigiani della Brigata «Artom».
Nonostante gli altissimi rischi che già correva da partigiano, Salvatore continuò a fungere da staffetta verso la Svizzera per accompagnare i fuggitivi che affluivano da Cernobbio e da Moltrasio: centinaia e centinaia di perseguitati politici, intere famiglie di Ebrei.
Tutti trovarono scampo in Svizzera nonostante i frequenti controlli di frontiera, resi particolarmente severi dai Tedeschi e dalla Milizia Confinaria.
La missione più delicata fu certamente quella dell’ottobre ’44, quando si rese necessario trasferire nella vicina Confederazione Elvetica Ferruccio Parri e Giancarlo Paietta.
Il 28 gennaio 1945, l’avventura umanitaria di Salvatore Corrias ebbe termine.
Catturato dalle brigate nere, in prossimità del confine, dopo aver portato in salvo un ex prigioniero inglese, l’eroico «amico degli Ebrei» venne freddato da una raffica di mitra.
L’amata Margherita di Moltrasio con la quale Corrias aveva vagheggiato di costruire una vita insieme, ne ripropose il ricordo che ha trovato spazio nel libro recentemente pubblicato a cura del Museo Storico della Guardia di Finanza da Gerardo Severino, dal titolo: «UN ANNO SUL BISBINO – Salvatore Corrias, un finanziere nel Giardino dei Giusti».
Nel 2006 lo stato d’Israele ha, infatti, conferito a Salvatore Corrias la medaglia di «Giusto tra le nazioni» sulla base delle ricerche svolte da un apposito gruppo di studio, che ha messo in luce il contributo da lui offerto in favore dei profughi ebrei.

by Emilio oliba