Don Piero Folli 'Nel giardini dei giusti'

DON PIERO FOLLI: GIUSTO TRA I GIUSTI

Lunedì, 6 marzo 2017, a Palazzo Marino a Milano, nell’ambito della Giornata europea dei Giusti, don Piero Folli è stato inserito a pieno titolo nel Giardino Virtuale «Giusti del Monte Stella», alla presenza del Sindaco Giuseppe Sala, del Presidente del Consiglio Comunale, Lamberto Bertolé, di Gabriele Nissim, presidente dell’Associazione Gariwo, di Giorgio Mortara, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. La pergamena è stata consegnata al prevosto di Luino don Sergio Zambenetti. Con lui l’assessore alla Cultura del Comune di Luino, dott. Piermarcello Castelli e la consigliera comunale Enrica Nogara.

CHI ERA DON FOLLI?

Un sacerdote dal cuore grande che aiutò centinaia di perseguitati politici ed Ebrei a raggiungere la terra promessa oltre il confine nella vicina Svizzera. Nel 1938, anche in Italia furono promulgate le famigerate leggi razziali contro gli Ebrei. Nel 1943 inoltre l’azione repressiva condotta dai nazifascisti conobbe una drammatica escalation. Nel programma della Repubblica Sociale Italiana, peraltro, Mussolini definiva gli Ebrei appartenenti a una nazionalità nemica. Ebbe così inizio un triste esodo di perseguitati politici verso la neutrale Svizzera in cui si inserì l’azione caritativa di don Folli.

UN AMORE PER GLI ULTIMI CHE VIENE DA LONTANO

Giovane sacerdote, don Folli si reca in Toscana a tenere comizi, insieme a don Davide Albertario, fondatore dei Fasci Cristiani al grido di «Operai cristiani unitevi in Cristo!». Una strada tutta in salita in un tempo in cui le avventate aperture verso il proletariato potevano essere censurate come riprovevole adesione al Modernismo. Don Folli in quegli anni subì un immeritato esilio: coadiutore a Cislago, e poi nel 1909 a Tradate dove fondò una «lega del lavoro» per fornire agli operai cattolici adeguati strumenti contro la diffusione della dottrina socialista. Creò inoltre scuole serali, tenne conferenze agrarie, partecipò in prima persona agli scioperi delle filande. Diventò anche corrispondente per i periodici Lavoro e Tribuna sociale, attività giornalistica che avrebbe continuato pure a Voldomino, collaborando puntualmente ogni settimana con il Il Luce del Verbano. Nel 1915, in piena guerra mondiale, venne nominato parroco a Carnisio di Caldana. Anche qui favorì la nascita di uno stabilimento per la riparazione delle divise militari, che rappresentò per il paese un aiuto concreto. 

UN PARROCO «ROSSO» A VOLDOMINO

Nel 1923 approdò a Voldomino, un paese di 1700 anime.  Particolare attenzione riservò al mondo giovanile. Diede vita con grande successo ad una squadra di ginnastica, fondò la filodrammatica, la biblioteca, la scuola del lavoro, la Schola Cantorum. Con l’avvento del fascismo, don Piero venne schedato, subendo ogni tipo di soprusi, compresa la somministrazione dell’olio di ricino. Nella nuova parrocchia don Folli si prodigò in un attivismo senza riserve. La sua vigorosa umanità era un albero frondoso le cui radici attingevano alle fonti cristalline degli insegnamenti evangelici. Risuonavano dal pulpito di S. Maria Assunta echi lontani di una cultura che traeva linfa dall’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, espressa nella Rerum Novarum di Leone XIII. I Suoi avversari lo definivano con disprezzo «prete rosso» a causa del colore dei suoi capelli, ma con allusivi riferimenti alle sue ben note idee antifasciste.

L’8 SETTEMBRE 1943 E LA TRAGEDIA DI UN POPOLO ALLA DERIVA

Subito dopo l’8 settembre 19143, don Folli entrò in contatto con il Comitato di Liberazione Nazionale e prestò aiuto ai partigiani del San Martino,  segnalando con lenzuola stese il passaggio dei convogli nazisti. La sua generosità non riguardava solo i partigiani, ma si estendeva anche ai prigionieri alleati, ai perseguitati politici  e agli Ebrei (Piero Malvestiti, sen. Scoccimarro, Dino Segre). L’oratorio di Santa Liberata era sempre aperto ai fuggiaschi, ospitati, rifocillati e aiutati ad espatriare in Svizzera. La sua organizzazione, in stretto contatto con le reti OSCAR (acronimo di Opera Scautistica Cattolica Aiuto Ricercati), e DE.LA.SEM., (acronimo di Delegazione per l'Assistenza degli Emigranti Ebrei), era nota anche agli alleati che sapevano del collegamento con alcuni sacerdoti della Costa Azzurra, della Toscana, della Liguria e dei rapporti con il cardinale Boetto di Genova

IL CALVARIO DI DON FOLLI

3 dicembre 1943: una spedizione punitiva fa irruzione nella sua canonica, dove era stata offerta ospitalità a 15 ebrei, in maggioranza donne e bambini che si apprestavano a varcare il confine. Erano accompagnati da don Gian Maria Rotondi, collaboratore del card. Boetto. Sono le 17,00: un colpo di pistola infrange i vetri dell’antico oratorio di S. Liberata, dove i fuggiaschi erano stati rifocillati prima di intraprendere il lungo viaggio tra i boschi verso il confine. Con i due sacerdoti ci sono anche l’ing. Mario Bongrani e il ragionier Pio Alessandrini, futuro senatore della Repubblica. Una pallottola sfiora l’anziana domestica che s’accascia priva di sensi. Le squadracce irrompono nella casa e mettono tutto a soqquadro. Fortunatamente non frugano in un cassetto dove sono custodite le schede che attestano gli altri passaggi. Approfittando della confusione, Alessandrini e Bongrani riescono a dileguarsi, ma per don Folli inizia il suo martirio. Legato all’inferriata del cortiletto, viene percosso a sangue perché riveli i nomi dei collaboratori: un ciuffo di capelli gli viene strappato, ma don Folli non parla e non parlerà neppure in seguito. Frattanto all’esterno sono raggruppati gli Ebrei, che, mani sulla nuca, sono costretti a marciare sotto la pioggia. I bambini, strattonati, piangono, uno sviene: nessuno conoscerà mai la sua sorte né quella degli altri. In paese vengono arrestati  alcuni collaboratori di don Piero, quasi tutti «spalloni» e perciò grandi conoscitori dei luoghi  di confine. Gente semplice, abituata ad ogni rischio. Don Folli non li considera dei disonesti ma, in quell’autunno  del 1943,  preziosissimi collaboratori per salvare vite umane.

NEL CARCERE DI S. VITTORE

Dopo l’arresto, don Folli viene tradotto a San Vittore, insieme a don Rotondi. Lungo il tragitto ogni tanto le SS si fermano, lo fanno scendere, lo mettono al muro, minacciando di fucilarlo. Poi il viaggio riprende. A S. Vittore don Folli rimane per tre mesi. Subisce torture e violenze quasi quotidiane, senza mai rivelare i nomi dei collaboratori. Racconta il suo biografo don Marco Baggiolini: «Due anni dopo quanto sopra narrato, per la strada a Luino, l’on. Alessandrini incontra don Folli in persona: è stato liberato, ha potuto tornare a Voldomino. L’on. Alessandrini vuol ringraziare, ma don Folli, alzando le braccia, purtroppo un poco tremanti, può dire: Ah! Non abbiamo parlato!». Il suo fisico è ormai logorato e le prime avvisaglie della malattia che lo porterà alla morte non si faranno attendere. Prima di concludere la parabola della sua vita, ha ancora un desiderio da realizzare: la costruzione, in località «Gera», di un un sacrario a perenne ricordo dei dodici giovani partigiani, qui catturati e uccisi in quel tragico ottobre 1944. Sul frontone vi fa incidere questa epigrafe: «Unquam de vita migrabunt heroes» (Mai dalla vita si allontaneranno gli eroi). Anche lui è stato un autentico eroe della carità, uno strenuo lottatore a cui si possono applicare le parole dell’apostolo delle genti: «Ho combattuto la buona battaglia, ho concluso la mia corsa, ho conservato la fede »..

IMMAGINI DELLA GIORNATA

DON PIERO FOLLI

CONSEGNA DELLA PERGAMENA IN RICORDO DI DON FOLLI AL PREVOSTO DI LUINO

UN MOMENTO DELLA CELEBRAZIONE A PALAZZO MARINO

IL PREVOSTO DI LUINO DON SERGIO CON L'ASSESSORE CASTELLI E LA CONSIGLIERA NOGARA

INTERVENTO DI LAMBERTO BERTOLE' IN CONSIGLIO COMUNALE

INTERVENTO DEL SINDACO SALA

PERGAMENA DON FOLLI

LAPIDE COMMEMORATIVA DELL'ARRESTO DI DON FOLLI IL 3 DICEMBRE 1943